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Se il mediatore non ha svolto alcuna prestazione, la clausola che gli attribuisce comunque il diritto al compenso è vessatoria (Cassazione civile, sentenza n. 19565/2020
La Corte di Cassazione statuisce la presunzione di vessatorietà della clausola contrattuale che attribuisce al mediatore il diritto al compenso in caso di recesso del venditore, senza che il mediatore abbia svolto alcuna controprestazione nell’ambito della mediazione..
Il caso
I venditori di un immobile si rivolgevano ad una società immobiliare, affidando al mediatore l’incarico di alienare il bene di loro proprietà. Nel contratto di incarico era contenuta una clausola che autorizzava le parti a recedere anticipatamente dal contratto, previa corresponsione all’altra parte di una penale per il recesso dell’1% sul valore di vendita dell’immobile. I venditori esercitavano poi il recesso anticipato, non ritenendo congruo il prezzo di messa in vendita del loro immobile, ed il mediatore con decreto ingiuntivo pretendeva il pagamento della penale dell’1% del valore del bene.
I venditori opponevano il predetto decreto ingiuntivo, ritenendo vessatoria la clausola che imponeva la penale dell’1% in favore del mediatore. I venditori invocavano a loro tutela la qualità di consumatori ai sensi dell’art. 3 comma 1 del D.lgs n. 206 del 2005, e denunciavano il significativo squilibrio del contratto nella predetta clausola che prevedeva un pagamento del mediatore pur non avendo lo stesso svolto alcuna attività in loro favore. Lo squilibrio contrattuale era avvalorato dal fatto che il compenso in caso di alienazione dell’immobile era pattuito nell’1,5% del valore dell’immobile, e pertanto appariva ancora più sproporzionata la richiesta dell’1% del valore del bene senza aver compiuto alcuna attività e solo in ragione del recesso dal contratto.
La decisione
L’opposizione al decreto ingiuntivo, accolta in primo grado dal Giudice di Pace di Roma, è stata riformata dal Tribunale in funzione di giudice di appello. I venditori hanno quindi presentato ricorso per Cassazione, invocando in particolare l’art. 33 del Codice del Consumo che prevede la nullità della clausola che imponga al consumatore inadempiente, il pagamento di una somma eccessiva a titolo di risarcimento o clausola penale.
La Corte di Cassazione, compie nella sentenza in commento una articolata disamina del Codice del Consumo e della normativa europea a tutela del consumatore, delineando l’ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione dello stesso. In particolare la Corte di Cassazione richiama l’applicazione diretta, in quanto norma di ordine pubblico e imperativa, dell’art. 6 paragrafo 1 della direttiva 93/13 che prevede che le clausole abusive non vincolano il consumatore quando determinano un significativo squilibrio a danno dello stesso.
La Corte precisa, poi che lo squilibrio contrattuale debba essere valutato non solo in riferimento al valore economico delle singole prestazioni delle parti, ma avendo riguardo all’insieme dei diritti e degli obblighi del complessivo regolamento contrattuale. Il carattere abusivo della clausola è oggetto dell’indagine giudiziale, agevolata dal Codice del Consumo che prevede una tipizzazione di clausole assistite dalla presunzione assoluta e dalla presunzione relativa di vessatorietà. Le clausole che rientrano nell’elenco dell’art. 33 comma 2 si presumono vessatorie, salvo che il professionista fornisca la prova contraria (presunzione relativa).
La Corte di Cassazione traccia poi i confini dell’onere probatorio gravante sul professionista.
Egli può vincere la presunzione relativa di vessatorietà, ai sensi dell’art. 34 comma 4 del Codice del Consumo, dando prova della specifica trattativa individuale sulla clausola contestata, e dimostrando che la stessa non è stata unilateralmente imposta alla controparte. Non possono poi considerarsi vessatorie le clausole che contengono la determinazione dell’oggetto del contratto l’adeguatezza del corrispettivo di beni e servizi (art. 34 comma 2)
La Corte richiama anche un precedente (Cass. civ. sez. III del 03/22/2010 n. 22357) che definisce vessatoria la clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di mancata conclusione del contratto di vendita, quando non essa non preveda un meccanismo di adeguamento della provvigione all’attività espletata al momento del recesso. La prestazione del mediatore consiste infatti nell’attività di ricerca di terzi interessati all’affare, e la provvigione deve essere commisurata al tempo ed all’attività in tal senso svolta dal mediatore. Pertanto in caso di recesso dal contratto di mediazione prima della conclusione dell’affare, il compenso del mediatore deve risultare proporzionato all’attività effettivamente prestata. Il sinallagma non è rispettato invece nel caso in cui a fronte di nessuna prestazione da parte del mediatore, egli pretenda il pagamento della penale in virtù dell’esercizio del semplice recesso di controparte. In questo modo infatti si creerebbe a favore del mediatore una rendita di posizione, perchè in via automatica e svincolata dallo svolgimento di attività di ricerca di persone interessate all’affare, egli percepirebbe comunque un compenso. La clausola contrattuale è quindi certamente abusiva se prevede il compenso del mediatore in modo automatico per il solo esercizio del diritto di recesso e senza che sia parametrica all’effettiva attività svolta.
Infine la Corte precisa che il potere di controllo sulla vessatorietà della clausola deve essere esercitato dal giudice di merito, mediante un penetrante potere di controllo finalizzato a verificare l’effettivo equilibrio delle prestazioni del contratto del consumatore, e che la nullità di una tale clausola può dunque essere rilevata anche d’ufficio dal giudice.
Il principio di diritto
A seguito del ragionamento sopra descritto, la Suprema Corte, accogliendo quindi il ricorso dei venditori, ha pronunciato i seguenti due principi di diritto:
“ La clausola che attribuisca al mediatore il diritto alla provvigione anche in caso di recesso da parte del venditore può presumersi vessatoria quando il compenso non trova giustificazione nella prestazione svolta dal mediatore. E’ compito del giudice di merito valutare se una qualche attività sia stata svolta dal mediatore attraverso le attività propedeutiche e necessarie per la ricerca di soggetti interessati all’acquisto del bene”.
“Si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere”.